L’anoressia nervosa è un problema che sta diffondendosi rapidamente tra la popolazione e colpisce principalmente la fascia di ragazzi che stanno entrando nell’adolescenza e nella vita adulta.

La malnutrizione rappresenta un grave problema nei paesi non industrializzati, un flagello che colpisce intere popolazioni.

Al contrario, nei paesi più ricchi, dove l’accesso al cibo non è generalmente un problema, emergono altre sfide legate all’alimentazione. Patologie come l’obesità e l’anoressia sono diffusissime e rappresentano l’altro lato della medaglia.

Viviamo in una società piena di contraddizioni e condizionamenti, dove il rapporto con il cibo può diventare estremamente complesso. Per moltissime persone, questo rapporto può sfociare in un vero e proprio disturbo del comportamento alimentare.

Tra questi disturbi, l’Anoressia Nervosa è forse la forma più conosciuta e diffusa di Disturbo del Comportamento Alimentare. La sua presenza nella nostra società è un segnale allarmante di quanto il cibo, che dovrebbe essere fonte di nutrimento e piacere, possa trasformarsi in una questione intricata e problematica.

Che cos’è l’anoressia nervosa?

Un proverbio ben noto afferma: “Una mela al giorno, toglie il medico di torno“. Tuttavia, quando il cibo diventa un nemico e l’unica cosa che si accetta di ingerire durante l’intera giornata è, al massimo, una mela, la situazione diventa preoccupante.

Il rifiuto di mangiare, accompagnato da un conseguente dimagrimento e da segni come il rifiuto di mantenere un peso corporeo adeguato all’età e alla statura, l’intensa paura di ingrassare (anche quando si è sottopeso), l’eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sulla propria autostima (“se sono grassa, non valgo nulla”), e segnali fisiologici come la perdita di almeno tre cicli mestruali consecutivi, indica con buona probabilità un caso di Anoressia Nervosa.

Il termine anoressia è, secondo alcuni, inappropriato, poiché si riferisce alla perdita di appetito. Tuttavia, molti soggetti anoressici non solo non perdono l’appetito o l’interesse per il cibo, ma manifestano una sorta di ossessione per questi aspetti, leggendo continuamente libri di cucina o cucinando per tutta la famiglia (Davison & Neal, 2001).

L’insorgenza del disturbo è graduale e insidiosa. La ragazza (si parla al femminile poiché il disturbo è più frequente nelle donne, sebbene sia in aumento anche negli uomini) inizia una dieta per perdere i chili in eccesso, talvolta in reale sovrappeso. È importante sottolineare che la decisione di intraprendere una dieta non comporta di per sé lo sviluppo di un disturbo alimentare, ma può essere un possibile campanello d’allarme.

Il pericolo si presenta quando la dieta diventa eccessivamente rigida, il perdere peso un’ossessione, e la ragazza segue una dieta “fai da te” per eliminare ogni possibile apporto calorico. Il dimagrimento evidente è in contrasto con l’intensa attività fisica dell’anoressica, che nega o minimizza l’esistenza di un problema corporeo, nonostante siano subentrati sintomi di disagio fisico come la perdita del ciclo mestruale e un aspetto trasformato.

Il cibo diventa un’ossessione e oggetto di rituali, come sminuzzare il cibo in pezzetti molto piccoli o disfarsene segretamente. Questi rituali coinvolgono tutta la famiglia e portano al rifiuto di alimenti considerati “ipercalorici” o “ingrassanti”. Successivamente, la paziente tenderà a mangiare da sola, seguendo regole autoimposte.

Si distinguono due tipologie di anoressia: nel sottotipo “con restrizioni”, la perdita di peso è dovuta a restrizioni alimentari; nel sottotipo “con abbuffate/condotte di eliminazione”, il soggetto si sottopone ad abbuffate che vengono poi smaltite tramite vomito autoindotto, uso di lassativi, diuretici o attività fisica intensa (Davison & Neal, 2001).

L’umore in corso di anoressia è depresso, anche se non è chiaro se l’anoressia provochi depressione o se la preceda. Tale fattore non deve essere trascurato, poiché esistono possibilità di comportamenti suicidari.

Inoltre, l’anoressia nervosa, caratterizzata da un’avversione per il cibo, comporta complicanze fisiche talvolta gravi, che possono portare alla morte per cachessia (deperimento eccessivo), eventualità che si verifica nel 10% dei casi circa.

Tuttavia, è importante ricordare che molte persone riescono a superare definitivamente questo disturbo, trovando il giusto equilibrio e il sostegno necessario per ritrovare una relazione sana con il cibo.

Come uscire dall’anoressia nervosa

Convincere un soggetto a sottoporsi a terapia per l’anoressia nervosa può essere una sfida, poiché gli specialisti vengono spesso visti come “coloro che vogliono far acquistare peso” e quindi come “nemiche”. Riuscire a conquistare la fiducia del paziente è quindi una grande vittoria e un presagio di successo terapeutico.

La terapia per l’anoressia nervosa ha due obiettivi principali. L’obiettivo immediato è il recupero del peso per evitare complicanze mediche e il rischio di morte (Davison & Neal, 2001).

La terapia cognitivo-comportamentale ha creato programmi in cui il soggetto anoressico viene aiutato a stabilire un rapporto più soddisfacente con il cibo, ad esempio cucinandolo o consumandolo in compagnia, e guadagnando ricompense per l’ingestione di cibo e l’incremento del peso.

Per le pazienti meno compromesse dal punto di vista medico, ma che necessitano comunque di cure intensive, una valida alternativa è il ricovero in day hospital. L’ospedalizzazione è la soluzione estrema e si rende necessaria solo quando le complicanze mediche espongono la paziente a gravi rischi per la salute.

In altri casi, si può ricorrere alla psicoterapia individuale che, nel caso della Terapia Cognitivo-Comportamentale, prevede:

  • Interventi di psicoeducazione per fornire alla paziente una spiegazione clinica del proprio disturbo.
  • Informazioni su un’alimentazione sana, dimostrando che non esistono cibi “giusti” o “sbagliati”.
  • La compilazione di un diario dei sintomi per auto monitorare i progressi.

Il secondo obiettivo di trattamento, il mantenimento a lungo termine dei risultati raggiunti, è più difficile da ottenere. Molti ex pazienti riescono a guarire definitivamente, ma molti altri vanno incontro a recidive. È quindi indispensabile aiutare la paziente a prevenirle e affrontarle serenamente, ricordando che gli “scivoloni” non presuppongono necessariamente una “ricaduta” vera e propria, ma fanno parte del processo di guarigione.

Oltre alla terapia cognitivo-comportamentale, un’altra modalità di trattamento è la terapia familiare. Questo orientamento parte dal presupposto che il problema dell’anoressia nasconda un disagio che riguarda l’intero nucleo familiare (Rosman, Minuchin e Liebeman, 1976). L’obiettivo è portare alla luce il conflitto, liberando il familiare sintomatico dalla costrizione di dover mantenere il problema.

I Disturbi Alimentari sono molto pericolosi e rappresentano la prima causa di morte nell’ambito delle malattie psichiatriche. Il profondo disagio che si cela dietro il rifiuto di mangiare nasconde una grande sofferenza che deve essere ascoltata ed accolta.

Ai primi segnali, spesso evidenti già in giovane età, deve essere richiesto un aiuto specialistico adeguato. La psicoterapia è un presupposto insostituibile che, con una buona alleanza terapeutica, può aiutare la paziente a uscire dal tunnel dell’anoressia e ritrovare il gusto di vivere la propria vita serenamente.